venerdì 28 settembre 2012

Le Silo Home


E se davvero riuscissimo, in un giorno non troppo lontano magari, a sostituire definitivamente il petrolio con fonti di energia rinnovabili, che cosa ne sarebbe delle migliaia di silos costruiti per contenere il tanto discusso liquido nero? 

Ci hanno pensato i giovani progettisti di PinkCloud che, partendo da questa ipotesi - meno utopistica di quel che potrebbe sembrare - hanno studiato un piano piuttosto dettagliato per il recupero ed il riutilizzo sostenibile di questi "contenitori", trasformandone radicalmente sia la destinazione che il significato simbolico: da contenitori di petrolio, con tutte le conseguenze negative per l'ambiente, a "contenitori di vita", abitazioni plurifamiliari accessibili, energeticamente autosufficienti ed a loro volta generatrici di energia pulita. 

I SILOS
Nel mondo esistono circa 50 mila contenitori pressurizzati per il deposito di petrolio, distribuiti in oltre 650 raffinerie. Se la popolazione mondiale continuasse a crescere ai ritmi attuali, potrebbe aggravarsi ulteriormente il problema del reperimento di questo tipo di materia prima e dunque occorrerebbe necessariamente puntare su sistemi di produzione energetica differenti e, perché no, maggiormente rinnovabili. L'idea del team di progettisti nasce proprio dalla riflessione sul potenziale progressivo abbandono delle migliaia di strutture di deposito, e sulla loro possibile riconversione in chiave sostenibile. 

COME RENDERE ABITABILE UN EX DEPOSITO DI IDROCARBURI
Naturalmente un cambio di destinazione d'uso così radicale comporta una precisa riflessione in termini di fattibilità: come eliminare il rischio di residui tossici in un edificio destinato alla abitazione? Gli autori del progetto fanno riferimento ad una biotecnologia di risanamento, che prevede l'utilizzo dei cosiddetti "batteri mangiapetrolio", microrganismi che letteralmente si cibano di petrolio e sono in grado di digerire idrocarburi ed altre sostanze tossiche per l'uomo. Successivamente alla bonifica si procederebbe, partendo dalla base strutturale esistente, al montaggio di solai e tramezzi, alla installazione degli impianti, alle finiture ed agli arredi. L'assemblaggio modulare e la prefabbricazione della maggior parte dei componenti riducono i costi globali (oltre che i tempi di realizzazione) del 33%, rispetto ad una costruzione ex novo di tipo tradizionale e comparabile, consentendo dunque anche a fasce meno abbienti della popolazione di accedere ad abitazioni moderne e totalmente "green". 

DA "OIL SILO" A "SILO HOME
Si tratta di un edificio plurifamiliare costituito da tre unità, le quali differiscono sostanzialmente per superficie (dai 90 ai 225 metri quadrati circa) e tipologia di abitanti prevista (dalla coppia al nucleo familiare con 2 o più figli). L'unità più grande è distribuita su un unico livello, le minori su due (in totale i livelli abitabili ricavati all'interno della ex cisterna sono tre). Le abitazioni sono accessibili mediante un ascensore centrale, o tramite un parziale riutilizzo della scala esterna preesistente, che consente anche l'accesso al tetto giardino comune. Sulle superfici curve sono ricavate le necessarie bucature per l'ingresso della luce naturale e installati pannelli fotovoltaici e per il solare termico. Sono previste piccole verande private per ciascuna famiglia. Studiato per le caratteristiche climatiche della città di Detroit, nel Michigan, in modo da avere come riferimento un contesto concreto, questo modello è comunque teoricamente esportabile ovunque nel mondo ci sia la esigenza di recuperare silos in stato di abbandono. 

INTEGRAZIONE DI SISTEMI SOSTENIBILI
Le Silo Home sono immaginate come completamente autosufficienti dal punto di vista energetico, e come fulcro di un articolato sistema sostenibile. Non quindi degli episodi isolati di costruzioni a emissioni zero, ma edifici in grado di fornire energia da reimmettere in una rete; una vera e propria smart grid per la condivisione del surplus energetico, che consentirebbe inoltre di mantenere molto elevati i livelli di efficienza energetica, e di creare, a partire dai silos, delle vere e proprie comunità virtuose e immerse nel verde, attraverso un sistema integrato di gestione delle risorse che possa diventare un modello di riqualificazione di zone industriali dismesse. In questo modo le Silo Home diventerebbero dunque, oltre che un particolare esempio di riuso dell'esistente, anche un'interessante ipotesi di intervento di riqualificazione di intere aree in stato di degrado. Oltre al sistema fotovoltaico e per il solare termico, sono integrati nell'edificio: un sistema per la raccolta differenziata e la riduzione degli sprechi; un sistema di raccolta delle acque piovane e di filtraggio e depurazione delle acque grigie. La ventilazione naturale è favorita da una condotta verticale centrale (in corrispondenza dell'ascensore) per effetto camino e dalla forma sferica e sopraelevata della struttura. Il riscaldamento è realizzato mediante pannelli radianti a pavimento. 
Chi avrebbe mai detto che avremmo potuto guardare con occhi diversi, e per di più sostenibili, agli enormi silos che spesso campeggiano inquietanti e silenziosi a ridosso delle città (deturpando e contaminando coste e paesaggi meravigliosi come quelli del siracusano, del milazzese e del gelese per ricordare solo l'esempio siciliano)? 
PinkCloud è un collettivo internazionale di giovani progettisti. Fondato a Copenhagen, il gruppo utilizza l'architettura come un catalizzatore per lo sviluppo sociale, puntando sul coinvolgimento attivo delle comunità coinvolte dai processi di trasformazione e sulla sperimentazione creativa, con una attenzione particolare però alla ricerca di concretezza e non a progetti meramente visionari.


venerdì 14 settembre 2012

Da ex granaio a nuovo ufficio


Alle porte di Londra un antico edificio pericolante è stato ripristinato e messo in sicurezza per farne una sede aziendale. 

Realizzato nel 2011 sotto la supervisione dello studio inglese Pollard Thomas Edwards Architects, The Granary (il granaio) rappresenta un esempio di recupero e riadattamento armonioso di un edificio storico. 


IN STATO DI ABBANDONO

Situato a Barking, quartiere londinese nella parte orientale della città, l'edificio versava ormai da anni in uno stato di abbandono; disabitato per lungo tempo, The Granary si presentava pericolante e bisognoso di un restauro globale che potesse riportarlo in funzione. 


RIPRISTINO ARMONIOSO NEL RISPETTO DELL'EDIFICIO STORICO

Ad interessarsi al progetto la società Roof, che dopo aver acquisito il sito nel marzo 2010, ha deciso di volere stabilire la sua nuova sede aziendale proprio tra le mura del granaio. 
Fin da principio, il briefing dato agli architetti è stato quello di intervenire mettendo in sicurezza l'edificio, ottimizzandolo e riadattandolo ai nuovi usi, pur nel rispetto del carattere storico e dei riferimenti antichi del granaio. 


PANNELLI IN BRONZO PER L'INVOLUCRO

Considerando le cattive condizioni di partenza dell'edificio, l'intervento è iniziato con la riparazione il ripristino dell'involucro esterno dell'edificio: la struttura è stata ampliata, mantenendo la forma a doppio spiovente, fedelmente al disegno originale. 
L'involucro è stato pensato come un rivestimento in pannelli di bronzo, mentre all'interno le pareti divisorie interne non originali sono state rimosse, creando spazi ampi, ideali per gli uffici open-space. 
Infine, gli architetti sono intervenuti sulle finestre, allargandone la cornice, e creando ampi punti di luce, anche grazie a una serie di lucernari sul tetto. 
Il risultato è una struttura ariosa e solida, in cui la miscela di antico e moderno è ben evidente e caratterizza ogni scorcio.

venerdì 7 settembre 2012

Autocostruzione familiare in classe A

A Conselice, nel ravennate colpito dal terremoto, nasce la prima casa in Italia costruita a norma di legge da un'associazione di volontariato di parenti, amici e semplici conoscenti. 
Gli ideatori di Edilpaglia spiegano come si fa. 



 Nell’Italia strattonata dalla crisi economica ecco finalmente una buona nuova che potrebbe far risparmiare, e molto, tutte quelle persone che vogliono costruirsi una casa: stiamo parlando della nascita dell’autocostruzione familiare, un vero e proprio modello di edificazione collettiva e a norma di legge che stupisce per la semplicità delle regole (che ci sono, ovvio) e le potenzialità legate anche al volontariato. 
“Si chiama così per differenziarla dai modelli di autocostruzione finora in uso, ovvero quella assistita, che avviene tramite bandi comunali e di solito su scala medio-grande, e l’economia diretta, dove chi costruisce è il proprietario o i suoi stretti familiari”, spiega Mariangela Pucci, presidente di Edilpaglia, associazione nazionale nata nel 2009 che punta a promuovere l’uso delle balle di paglia nell’edilizia, “contro il tabù che pensa alle case di paglia come capanne e non a vere abitazioni come ci sono in tutta Europa”. 


Soluzione grazie al non profit 

È Edilpaglia, che dopo un percorso durato due anni e scandito da un tavolo di lavoro in cui erano presenti cittadini, associazioni e istituzioni, ha individuato il percorso giusto per ottenere il via libera a questa innovativa forma di costruzione fai da te, “dove chiunque può aiutare a costruire: i diretti interessanti all’abitazione, ma anche amici, conoscenti o persone che desiderano mettere a disposizione la loro manualità a titolo gratuita, una sorta di banca del tempo edile”, specifica Pucci. “La soluzione ci è stata indicata dall’Asl: attraverso la nascita di un’associazione di volontariato, e un intenso corso di formazione alla sicurezza nel cantiere, non ci sono leggi che vietano di auto costruirsi una casa, che sia con le balle di paglia o in altro materiale”. 


Nel ravennate la casa pilota 

A fine luglio 2012 sono partiti i lavori per la prima casa in Italia realizzata con l’autocostruzione familiare: si trova a Conselice, provincia di Ravenna, proprio nelle zone periferiche del terremoto della scorsa primavera e sarà di circa 100 metri quadri. “Nel primo mese di lavoro è già stata finita per metà, grazie anche ai corsi di costruzione che stiamo svolgendo in loco”, aggiunge Pucci. La tempistica è ben delineata: fino a fine settembre, da mercoledì a domenica si svolgono momenti di autocostruzione aperti a tutti (costo 300 euro comprensivo di vitto e alloggio, per iscriversi recarsi sul sito di Edilpaglia, ndr) anche per imparare, poi da ottobre, chiunque sarà iscritto alla neonata associazione di volontariato creata ad hoc, potrà partecipare ai lavori, assieme naturalmente ai proprietari della casa, in prima fila nella realizzazione. 


Risparmio e qualità garantiti 

“Tra l’uso di paglia e terra cruda nella muratura esterna (non in quella portante, che deve essere almeno di legno, secondo la legge, ndr), la manodopera risparmiata, di certo il prezzo scende, siamo tra i 1200-1300 euro al metro quadro, per una casa che può essere di classe A”, indica la presidente di Edilpaglia, di professione ingegnere. La tecnica usata per la casa del ravennate è quella Greb, molto usata in Canada e la più adattabile all’autocostruzione, ovvero all’equilibrio tra il fatto che chi costruisce spesso non è un esperto del mestiere e la necessità di avere una casa propriamente detta. 


Sempre più interesse 

Sia attorno al tema dell’autocostruzione sia alle case in paglia l’interesse è in forte crescita: “giovani coppie, gruppi di famiglie che vogliono andare a vivere assieme, eco villaggi sono tra quelli che più ci contattano”, riporta la presidente di Edilpaglia, che si dice “piacevolmente sorpresa di trovare tante porte aperte anche nei Comuni delle varie parti d’Italia dove presentiamo i progetti: sono quasi sempre molto interessati, e disposti a ridurre i tempi della burocrazia”. 


 [ Fonte: Edilpaglia - Articolo tratto da www.vita.it e scritto da Daniele Biella ]