venerdì 14 dicembre 2012

Auguriamo a tutti BUONE FESTE!

venerdì 30 novembre 2012

E' il caso di dire: Mattone su Mattone!

A jeyhoon, zona tra le più povere della capitale iraniana, una delle migliori realizzazioni architettoniche dell'anno.

Oltre ad aver partecipato al Festival dell'Architettura 2012 nella categoria edifici residenziali, la "Brick Pattern House", modello di casa in mattoni situato in una delle zone più povere di Tehran (Iran), è stata premiata dal magazine iraniano di architettura Memar come una delle migliori realizzazioni architettoniche dell'anno. 

"L'edificio - racconta Alireza Mashhadmirza, architetto del progetto - è situato nella zona povera di jeyhoon, dove difficilmente si può trovare un edificio che abbia i requisiti minimi di una costruzione sana. Questo progetto - continua l'architetto - per me è stata dunque una sfida, perché sapevo che non avevo alcuna possibilità di guadagnare denaro, ma ero determinato a dimostrare che l'architettura più trovare spazio anche in aree economicamente e culturalmente povere". 


CARATTERISTICHE

Oltre ad essere stato costruito con una struttura anti-sismica, l'edificio possiede pareti che garantiscono il risparmio di energia, proprietà acustiche accettabili, sicurezza anti-incendio e funzionali servizi tecnici. Ma la vera particolarità è rappresentata dalla parete esterna. L'architetto infatti, per richiamare l'architettura tradizionale araba, ha utilizzato come materiale da costruzione principale il mattone ed è andato a creare una sorta di mashrabiya contemporanea che copre l'intera facciata. 


NIENTE TENDE

Il muro di mattoni tridimensionale così realizzato ha anche un valore culturale. Infatti, in Iran la gente è molto attenta alla privacy, tanto che nelle case molto spesso vengono usati dei tendaggi. In questo modo però, la vista esterna viene del tutto coperta. Ora, grazie a questo sistema "semitrasparente", non solo non saranno necessarie le tende, ma sarà possibile godere della vista esterna senza essere visti. 


SCHERMATURA E ACCUMULO

La mashrabiya realizzata in laterizio oltre a schermare dai raggi solari accumula il calore durante il giorno per rilasciarlo nelle notte. Le capacità igrometriche del materiale impiagato possono anche equilibrare, quando le condizioni metereologiche lo consentono, il livello di umidità ambientale.


[ Fonte: www.casaeclima.com ]



venerdì 23 novembre 2012

BioCity: la città intelligente

L'Associazione culturale "Effetti Collaterali" in collaborazione con il portale "Architettura Ecosostenibile", e con il patrocinio del Comune di Salerno, promuove l’evento "Ecoquartieri. Ambienti urbani sostenibili. Incontri sul vivere green". 

L’Associazione mostra ancora una volta grande sensibilità ai temi della sostenibilità, di cui il nostro portale è da sempre portavoce, proseguendo un processo di riflessione e di approfondimento sul tema dell’architettura come prodotto sociale, e della città intelligente, iniziato con grande successo nella scorsa edizione. Il tema di questo secondo appuntamento di "Biocity

La città intelligente", che si svolgerà Venerdì 14 e Sabato 15 dicembre a Salerno, è l’eco quartiere. Quando si parla di eco quartiere ci si riferisce ad un insediamento fatto di alloggi, servizi e spazi aperti comuni. 
Non entra in gioco il solo concetto di efficienza energetica, legato alle prestazioni energetiche dei singoli edifici, ma anche quello di mobilità sostenibile, pubblica, pedonale e ciclabile, e soprattutto di qualità della vita, strettamente connessa con l’etica della condivisione degli spazi e con l’importanza del rapporto uomo-natura. 
Il quartiere è la componente più piccola del “sistema città”, e come tale il suo sviluppo ha un’importanza strategica per l’espansione urbana. 
Progettare un ecoquartiere, dunque, vuol dire affrontare la sostenibilità con un approccio olistico, che riguardi la rinnovabilità delle fonti di energia, l’eco sviluppo urbano e ambientale nell’organizzazione degli spazi verdi, e la partecipazione collettiva: il progetto del quartiere, attraverso il coinvolgimento di istituzioni, pubbliche e private, risorse economiche, politiche, sociali e culturali, deve partire dal basso, ovvero dalla cittadinanza che vive la città e necessita che il suo sviluppo avvenga in accordo con i propri bisogni. 


Tema centrale dell’evento è la qualità della vita dell’abitante. 

In una città con proprie caratteristiche tipo-morfologiche, climatiche, ambientali e sociali, è impensabile applicare acriticamente modelli, metodi e tecnologie importati da latitudini lontane. In questo senso la forza delle evoluzioni nell’ambito della tecnologia, che sembra oggi interpretare universalmente le esigenze dei cittadini occidentali, andrebbe stemperata dall’importanza tutta ecologica di legare i bisogni dei cittadini agli equilibri climatici, ambientali e paesaggistici delle città. 

L’iniziativa mira a promuovere un ciclo di incontri, in cui sia prioritario l’obiettivo di accrescere nei partecipanti quella conoscenza e coscienza che li vuole prima di tutto protagonisti attivi delle scelte sul futuro delle città. 
Le conferenze, tenute da esperti italiani e stranieri, avranno un taglio insieme teorico e pratico. 
Da una parte si illustreranno esempi di eco quartieri, casi-studio selezionati all’interno del panorama italiano ed internazionale, in una sorta di racconto su cosa si è fatto fino ad oggi e cosa è in programma per il futuro. Dall’altra, si proseguirà con dibattiti, discussioni e proposte finalizzati a dar voce alle iniziative delle comunità locali e dei singoli cittadini. 
Per questo l’evento è rivolto a esperti del settore, studenti e studiosi di architettura ed ingegneria, periti, geometri, agronomi, progettisti, pianificatori, professionisti, imprenditori e tutti i cittadini che sono interessati ed impegnati a incoraggiare lo sviluppo sostenibile delle nostre città e dei nostri quartieri. 


La partecipazione è gratuita ma è necessaria la registrazione 

Il termine ultimo per le iscrizioni è il 28 novembre.



venerdì 16 novembre 2012

Verona: quando l'ambiente circostante è parte della casa


Il residence Santa Caterina è realizzato tra prati e percorsi pedonali che si inseriscono quasi direttamente all’interno delle abitazioni.

È stato inaugurato a Verona il Residence Santa Caterina, progetto di architettura residenziale realizzato da Alberto Apostoli in cui l’ambiente circostante è parte integrante del progetto stesso
La realizzazione è frutto di un precedente “Accordo di Programma” (il primo nel comune di Verona) stipulato tra il Comune di Verona e la Proprietà e interessa un’area di circa 35.000 mq. Su tale area, oltre all’area residenziale di 21.000 mq, trovano luogo anche un parco pubblico di circa 10.000 mq e un parcheggio per circa 80 auto. 

IL PROGETTO
L’intervento prevede due soli piani fuori terra ed un piano interrato (pari a circa 9.000 mq) che contribuisce a creare la distribuzione dei blocchi abitativi. La planimetria del piano interrato è celata al piano terra attraverso la creazione dei volumi residenziali. Gli stessi materiali usati all’esterno delle abitazioni sono stati utilizzati anche per l’interno in un unicum stilistico che unisce le funzioni private con l’ambiente. 

ILLUMINAZIONE
L’illuminazione è un altro elemento fondamentale per l’integrazione tra esterno ed interno e prevede l’utilizzo di corpi illuminanti simili per le due funzioni. Il progetto illuminotecnico esterno è basato sostanzialmente sull’idea che elementi architettonici ed alberi siano da considerarsi simili per l’impatto estetico generale e, pertanto, “gestiti” con i medesimi criteri. Le 50 abitazioni sono distinte in tre principali tipologie (75,150, 225 mq), ma ogni singola abitazione è unica e particolare. 

RISPARMI ENERGETICI
Per quanto riguarda l'aspetto energetico, tutte le unità abitative sono gestite con sistemi di domotica e dotate di impianti a pavimento di riscaldamento e raffrescamento autonomi e di tipo radiante. Ogni abitazione è attrezzata con sistemi di ventilazione meccanica controllata in versione pompa di calore aria/aria che consentono alle abitazioni di godere di confort interno. Ogni abitazione è stata certificata in “Classe A” ed è dotata di un impianto per la produzione di energia elettrica (almeno 1kW per ogni unità immobiliare) mediante pannelli fotovoltaici posti in copertura (circa 8 mq di sviluppo). Per la produzione di acqua calda sono stati istallati pannelli solari termici (4 mq di sviluppo) con un serbatoio da 200 litri. Nelle parti comuni, l’impianto di illuminazione a basso consumo è dotato di accensione tramite sensore crepuscolare. VERDE. Il progetto del verde prevede la realizzazione di alcuni giardini pensili. Ogni essenza è stata selezionata solo tra quelle tipiche del territorio. Una particolare attenzione è stata dedicata ai colori autunnali, i gialli e gli arancio di Faggi, Aceri e Liriodendron sapranno dare suggestioni cromatiche di grande effetto. I Pyracantha, le rose rugose, i melograni ed i prugnoli sapranno deliziare con i loro frutti selvatici e le loro bacche.

[ Fonte: www.casaeclima.com ]


venerdì 19 ottobre 2012

Emergency in Sudan e l'architettura solidale

Il Centro Salam è il primo centro di cardiochirurgia che offre assistenza e cure gratuite alle popolazioni del Sudan e dei paesi limitrofi
Ultimato nel 2007 nella città di Soba, a 20 Km dalla capitale Khartoum, è un mirabile esempio di architettura ospedaliera da cui anche le strutture europee dovrebbero trarre ispirazione. 
Il progetto nasce dall’idea di Raul Pantaleo, membro dello studio veneziano Tamassociati da anni impegnato nello sviluppo responsabile e sostenibile. 

IL PROGETTO ARCHITETTONICO 
L’edificio, situato in una grande area verde di circa 40.000 mq non lontana dal Nilo Azzurro, sviluppa una superficie coperta di 10.000 mq a forma di “C” intorno ad una corte che racchiude due alberi di mango, divenuti ormai simboli dell’ospedale. 
Pur essendo un’architettura sobria, dal disegno pulito di sapore contemporaneo, cerca di valorizzare la cultura tradizionale e di non imporre la sua presenza nel contesto, infatti la tipologia a padiglione riduce l’impatto visivo grazie alla ridotta altezza degli edifici. 
Oltre alla presenza di spazi funzionali, molto è stato puntato sulla realizzazione di ambienti accoglienti: ai tipici locali presenti negli ospedali, si aggiungono zone per la meditazione e per l’accoglienza e l’alloggio messi a disposizione dei parenti dei pazienti. 

GESTIRE SABBIA E CALORE IN MODO SOSTENIBILE 
Durante la progettazione e la realizzazione di questo intervento le difficoltà affrontate riguardavano soprattutto l’ostilità dell’ambiente e la collaborazione con la manodopera locale. 
La sfida contro il deserto è stata vinta grazie ad accurati accorgimenti impiantistici e a particolari elementi costruttivi mirati all’ottenimento del massimo risparmio energetico. 
La sabbia e la polvere, trasportate dalle frequenti tempeste, vengono catturate da un camino per essere poi convogliate in lunghi tubi che hanno il compito di rallentare la velocità d’ingresso dell’aria affinché la sabbia si depositi, mentre l’utilizzo di acqua nebulizzata provvede all’eliminazione delle polveri. A seguito di questo processo l’aria depurata viene utilizzata nel sistema di condizionamento perché, durante il suo percorso nelle tubazioni, si è verificata una diminuzione di temperatura pari a circa 9 °C rispetto a quella iniziale di ingresso. 
 Il clima desertico spesso porta le temperature estive oltre i 50 °C, tuttavia le temperature interne di un ospedale devono essere comprese in un intervallo che va dai 18 ai 24 °C. Sono stati previsti, pertanto, diversi metodi per la protezione passiva dal calore come ad esempio la costruzione di muri esterni altamente isolanti utilizzando mattoni in laterizio pieno intervallati da un’intercapedine areata per uno spessore totale di circa 60 cm. Le finestre sono costituite da doppio vetro, mentre gli schermi fissi per la protezione dai raggi solari sono stati eseguiti intrecciando corde ottenute da una fibra naturale estratta da piante locali. 
Anche il verde che circonda la struttura aiuta a mitigare all’interno le alte temperature. 

QUASI 1000 MQ DI PANNELLI SOLARI 
Per rinfrescare ulteriormente gli ambienti interni, riducendo notevolmente le spese di energia elettrica riducendo l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera, sono stati istallati dei pannelli solari per una superficie di circa 900 mq. Infatti l’intero impianto produce 3.600 kWh che corrispondono al risparmio di 300 Kg di gasolio. 
All’interno dei collettori solari le tubazioni in rame, in cui scorre l’acqua, sono racchiuse in ulteriori tubazioni in vetro affinché il calore assorbito dall’acqua per irraggiamento non venga disperso a contatto con il rame. Il calore viene trasferito in un serbatoio coibentato che mantiene l’acqua ad elevate temperature. 
Per ottenere il passaggio dal caldo al freddo si utilizzano macchine ad assorbimento nelle quali viene immesso il calore trattenuto nel serbatoio per riscaldare una miscela di acqua e bromuro di litio fino a che, attraverso trasformazioni fisiche proprie dei cicli frigoriferi, essa è in grado di abbassare notevolmente la temperatura dell’acqua. Il passaggio finale, e cioè l’immissione di aria fredda negli ambienti ospedalieri, è affidato alle UTA (Unità di trattamento dell’aria). 
L’aria è prelevata dall’ambiente esterno e trasferita nell’UTA in cui viene opportunamente trattata e successivamente immessa all’interno dei locali in condizioni termoigrometriche adeguate e alla temperatura desiderata. 
Forse prima della fine dei lavori sembrava per tutti un’utopia, ma ora è una realtà tangibile che funziona da ormai cinque anni: in uno dei Paesi più poveri del mondo è stato realizzato un esempio di struttura ospedaliera tecnologicamente sostenibile e sofisticata utilizzando un linguaggio etico nella definizione di tutti i dettagli costruttivi.




venerdì 12 ottobre 2012

Omotenashi House

Al Solar Decathlon 2012 il Giappone partecipa con un progetto abitativo a metà strada tra tradizione e innovazione. Si tratta dell'Omotenashi House, una versione contemporanea di una casa da tè tradizionale messa a punto dal team della Chiba University. 

AFFIANCATA DA UNA RISAIA
Nello stesso progetto convivono aspetti dell'antica cultura nipponica accostati a tecnologie sostenibili ed accorgimenti di bio-architettura, in pieno mood da 21°secolo. L'abitazione, sviluppata su un unico livello, è affiancata da un'ampia area verde. Niente prato classico, per la casa Omotenashi i progettisti hanno pensato a una risaia, con duplice funzione: fornire riso in abbondanza agli abitanti ed assolvere naturalmente alla funzione di depurazione delle acque reflue. 

CORTINA VEGETALE. 
Entrando nell'abitazione, i visitatori approdano a una veranda leggermente sopraelevata, oscurata e protetta da una vera e propria cortina verde. Sostenute da una struttura fatta in cavi, leggera ma robusta, le piante si arrampicano verticalmente, creando una sorta di sipario vivente. Oltre all'aspetto più prettamente estetico, questo sistema consente di limitare il sovraccarico termico durante i mesi estivi, regolando la temperatura degli interni. 

UNA SERRA BEN ISOLATA. 
Il verde rappresenta il vero fil-rouge del progetto: un'ampia varietà di piante tipiche del Giappone circonda l'abitazione la quale, oltre alla già citata risaia, è provvista anche di una serra ben protetta e termicamente isolata, dove crescere ogni tipo di coltura. Esposta a sud, l'Omotenashi House è dotata di un articolato impianto solare termico e di un sistema di recupero e riutilizzo dell'acqua sanitaria. 

PARTIZIONI MOBILI IN CARTA DI RISO. 
All'interno emerge con chiarezza il carattere nipponico del progetto: come da tradizione, prevalgono elementi modulari e leggeri, ricavati da materie prime reperite localmente. In questo caso, l'ampia zona giorno è suddivisa da partizioni mobili realizzate in carta giapponese traslucida, la quale permette alla luce naturale di filtrare, fornendo al contempo la privacy necessaria. I pavimenti sono rivestiti con i tipici tatami giapponesi: naturali, riciclabili e biodegradabili, si tratta di pannelli rettangolari affiancati l'uno all'altro e realizzati con paglia di riso intrecciata e pressata. Completano il progetto una serie di elementi d'arredo di spiccata derivazione giapponese, a partire dai pouf e dal set da tè.


[ Fonte: www.casaeclima.com ]

venerdì 5 ottobre 2012

L'importanza dell'isolamento termico

Tutela del clima e dell’ambiente, bassi costi di gestione e benessere abitativo sono argomenti fondamentali che si possono soddisfare utilizzando un adeguato sistema di isolamento termico, come il Sistema Cappotto Fassatherm® di Fassa Bortolo

A tal proposito abbiamo parlato con il Direttore Marketing della Fassa il dott. Eugenio Cervato che ha risposto ad alcune domande per chiarire e approfondire questo argomento di forte attualità. 

· Perché è importante isolare in modo corretto la propria abitazione? Quali problemi si possono evitare facendolo?
E’ importante isolare in maniera corretta per risparmiare energia: in questo modo si riduce la dispersione di calore nel periodo invernale e si consente un miglior isolamento nel periodo estivo. 
Il risultato è l’abbattimento dei ponti termici, evitando punti freddi all’interno dell’edificio che possono dare origine a condensa e quindi muffe che alterano la salubrità ed il confort dei locali interni. 

· Cosa si intende per isolamento a cappotto e quali sono i suoi vantaggi? 
Si intende un isolamento con idonei pannelli isolanti all’esterno e un conseguente abbattimento della trasmittanza termica delle superfici opache verticali degli edifici. 
Il sistema a cappotto è la miglior soluzione per isolare termicamente un’abitazione. 

· L’isolamento a cappotto può essere applicato su tutti i tipi di abitazione? Sia già costruite sia in fase di costruzione? 
Si, il sistema a cappotto può essere applicato su ogni tipologia di abitazione valutando caso per caso il ciclo corretto per ogni intervento. Le nuove costruzioni devono rispettare la trasmittanza termica imposta per legge secondo la zona climatica di riferimento e pertanto l’isolamento dell’edificio è obbligatorio. 
Nel caso di riqualificazione energetica dell’edificio esistente è possibile ottenere il beneficio delle detrazioni fiscali, compatibilmente con le indicazioni della Sovrintendenza. 
Ad esempio nei centri storici molte abitazione sono vincolate e le facciate non possono essere modificate: in tal caso occorre intervenire dall’interno.

[ Fonte: Intervista al direttore marketing della Fassa Bortolo ]


venerdì 28 settembre 2012

Le Silo Home


E se davvero riuscissimo, in un giorno non troppo lontano magari, a sostituire definitivamente il petrolio con fonti di energia rinnovabili, che cosa ne sarebbe delle migliaia di silos costruiti per contenere il tanto discusso liquido nero? 

Ci hanno pensato i giovani progettisti di PinkCloud che, partendo da questa ipotesi - meno utopistica di quel che potrebbe sembrare - hanno studiato un piano piuttosto dettagliato per il recupero ed il riutilizzo sostenibile di questi "contenitori", trasformandone radicalmente sia la destinazione che il significato simbolico: da contenitori di petrolio, con tutte le conseguenze negative per l'ambiente, a "contenitori di vita", abitazioni plurifamiliari accessibili, energeticamente autosufficienti ed a loro volta generatrici di energia pulita. 

I SILOS
Nel mondo esistono circa 50 mila contenitori pressurizzati per il deposito di petrolio, distribuiti in oltre 650 raffinerie. Se la popolazione mondiale continuasse a crescere ai ritmi attuali, potrebbe aggravarsi ulteriormente il problema del reperimento di questo tipo di materia prima e dunque occorrerebbe necessariamente puntare su sistemi di produzione energetica differenti e, perché no, maggiormente rinnovabili. L'idea del team di progettisti nasce proprio dalla riflessione sul potenziale progressivo abbandono delle migliaia di strutture di deposito, e sulla loro possibile riconversione in chiave sostenibile. 

COME RENDERE ABITABILE UN EX DEPOSITO DI IDROCARBURI
Naturalmente un cambio di destinazione d'uso così radicale comporta una precisa riflessione in termini di fattibilità: come eliminare il rischio di residui tossici in un edificio destinato alla abitazione? Gli autori del progetto fanno riferimento ad una biotecnologia di risanamento, che prevede l'utilizzo dei cosiddetti "batteri mangiapetrolio", microrganismi che letteralmente si cibano di petrolio e sono in grado di digerire idrocarburi ed altre sostanze tossiche per l'uomo. Successivamente alla bonifica si procederebbe, partendo dalla base strutturale esistente, al montaggio di solai e tramezzi, alla installazione degli impianti, alle finiture ed agli arredi. L'assemblaggio modulare e la prefabbricazione della maggior parte dei componenti riducono i costi globali (oltre che i tempi di realizzazione) del 33%, rispetto ad una costruzione ex novo di tipo tradizionale e comparabile, consentendo dunque anche a fasce meno abbienti della popolazione di accedere ad abitazioni moderne e totalmente "green". 

DA "OIL SILO" A "SILO HOME
Si tratta di un edificio plurifamiliare costituito da tre unità, le quali differiscono sostanzialmente per superficie (dai 90 ai 225 metri quadrati circa) e tipologia di abitanti prevista (dalla coppia al nucleo familiare con 2 o più figli). L'unità più grande è distribuita su un unico livello, le minori su due (in totale i livelli abitabili ricavati all'interno della ex cisterna sono tre). Le abitazioni sono accessibili mediante un ascensore centrale, o tramite un parziale riutilizzo della scala esterna preesistente, che consente anche l'accesso al tetto giardino comune. Sulle superfici curve sono ricavate le necessarie bucature per l'ingresso della luce naturale e installati pannelli fotovoltaici e per il solare termico. Sono previste piccole verande private per ciascuna famiglia. Studiato per le caratteristiche climatiche della città di Detroit, nel Michigan, in modo da avere come riferimento un contesto concreto, questo modello è comunque teoricamente esportabile ovunque nel mondo ci sia la esigenza di recuperare silos in stato di abbandono. 

INTEGRAZIONE DI SISTEMI SOSTENIBILI
Le Silo Home sono immaginate come completamente autosufficienti dal punto di vista energetico, e come fulcro di un articolato sistema sostenibile. Non quindi degli episodi isolati di costruzioni a emissioni zero, ma edifici in grado di fornire energia da reimmettere in una rete; una vera e propria smart grid per la condivisione del surplus energetico, che consentirebbe inoltre di mantenere molto elevati i livelli di efficienza energetica, e di creare, a partire dai silos, delle vere e proprie comunità virtuose e immerse nel verde, attraverso un sistema integrato di gestione delle risorse che possa diventare un modello di riqualificazione di zone industriali dismesse. In questo modo le Silo Home diventerebbero dunque, oltre che un particolare esempio di riuso dell'esistente, anche un'interessante ipotesi di intervento di riqualificazione di intere aree in stato di degrado. Oltre al sistema fotovoltaico e per il solare termico, sono integrati nell'edificio: un sistema per la raccolta differenziata e la riduzione degli sprechi; un sistema di raccolta delle acque piovane e di filtraggio e depurazione delle acque grigie. La ventilazione naturale è favorita da una condotta verticale centrale (in corrispondenza dell'ascensore) per effetto camino e dalla forma sferica e sopraelevata della struttura. Il riscaldamento è realizzato mediante pannelli radianti a pavimento. 
Chi avrebbe mai detto che avremmo potuto guardare con occhi diversi, e per di più sostenibili, agli enormi silos che spesso campeggiano inquietanti e silenziosi a ridosso delle città (deturpando e contaminando coste e paesaggi meravigliosi come quelli del siracusano, del milazzese e del gelese per ricordare solo l'esempio siciliano)? 
PinkCloud è un collettivo internazionale di giovani progettisti. Fondato a Copenhagen, il gruppo utilizza l'architettura come un catalizzatore per lo sviluppo sociale, puntando sul coinvolgimento attivo delle comunità coinvolte dai processi di trasformazione e sulla sperimentazione creativa, con una attenzione particolare però alla ricerca di concretezza e non a progetti meramente visionari.


venerdì 14 settembre 2012

Da ex granaio a nuovo ufficio


Alle porte di Londra un antico edificio pericolante è stato ripristinato e messo in sicurezza per farne una sede aziendale. 

Realizzato nel 2011 sotto la supervisione dello studio inglese Pollard Thomas Edwards Architects, The Granary (il granaio) rappresenta un esempio di recupero e riadattamento armonioso di un edificio storico. 


IN STATO DI ABBANDONO

Situato a Barking, quartiere londinese nella parte orientale della città, l'edificio versava ormai da anni in uno stato di abbandono; disabitato per lungo tempo, The Granary si presentava pericolante e bisognoso di un restauro globale che potesse riportarlo in funzione. 


RIPRISTINO ARMONIOSO NEL RISPETTO DELL'EDIFICIO STORICO

Ad interessarsi al progetto la società Roof, che dopo aver acquisito il sito nel marzo 2010, ha deciso di volere stabilire la sua nuova sede aziendale proprio tra le mura del granaio. 
Fin da principio, il briefing dato agli architetti è stato quello di intervenire mettendo in sicurezza l'edificio, ottimizzandolo e riadattandolo ai nuovi usi, pur nel rispetto del carattere storico e dei riferimenti antichi del granaio. 


PANNELLI IN BRONZO PER L'INVOLUCRO

Considerando le cattive condizioni di partenza dell'edificio, l'intervento è iniziato con la riparazione il ripristino dell'involucro esterno dell'edificio: la struttura è stata ampliata, mantenendo la forma a doppio spiovente, fedelmente al disegno originale. 
L'involucro è stato pensato come un rivestimento in pannelli di bronzo, mentre all'interno le pareti divisorie interne non originali sono state rimosse, creando spazi ampi, ideali per gli uffici open-space. 
Infine, gli architetti sono intervenuti sulle finestre, allargandone la cornice, e creando ampi punti di luce, anche grazie a una serie di lucernari sul tetto. 
Il risultato è una struttura ariosa e solida, in cui la miscela di antico e moderno è ben evidente e caratterizza ogni scorcio.

venerdì 7 settembre 2012

Autocostruzione familiare in classe A

A Conselice, nel ravennate colpito dal terremoto, nasce la prima casa in Italia costruita a norma di legge da un'associazione di volontariato di parenti, amici e semplici conoscenti. 
Gli ideatori di Edilpaglia spiegano come si fa. 



 Nell’Italia strattonata dalla crisi economica ecco finalmente una buona nuova che potrebbe far risparmiare, e molto, tutte quelle persone che vogliono costruirsi una casa: stiamo parlando della nascita dell’autocostruzione familiare, un vero e proprio modello di edificazione collettiva e a norma di legge che stupisce per la semplicità delle regole (che ci sono, ovvio) e le potenzialità legate anche al volontariato. 
“Si chiama così per differenziarla dai modelli di autocostruzione finora in uso, ovvero quella assistita, che avviene tramite bandi comunali e di solito su scala medio-grande, e l’economia diretta, dove chi costruisce è il proprietario o i suoi stretti familiari”, spiega Mariangela Pucci, presidente di Edilpaglia, associazione nazionale nata nel 2009 che punta a promuovere l’uso delle balle di paglia nell’edilizia, “contro il tabù che pensa alle case di paglia come capanne e non a vere abitazioni come ci sono in tutta Europa”. 


Soluzione grazie al non profit 

È Edilpaglia, che dopo un percorso durato due anni e scandito da un tavolo di lavoro in cui erano presenti cittadini, associazioni e istituzioni, ha individuato il percorso giusto per ottenere il via libera a questa innovativa forma di costruzione fai da te, “dove chiunque può aiutare a costruire: i diretti interessanti all’abitazione, ma anche amici, conoscenti o persone che desiderano mettere a disposizione la loro manualità a titolo gratuita, una sorta di banca del tempo edile”, specifica Pucci. “La soluzione ci è stata indicata dall’Asl: attraverso la nascita di un’associazione di volontariato, e un intenso corso di formazione alla sicurezza nel cantiere, non ci sono leggi che vietano di auto costruirsi una casa, che sia con le balle di paglia o in altro materiale”. 


Nel ravennate la casa pilota 

A fine luglio 2012 sono partiti i lavori per la prima casa in Italia realizzata con l’autocostruzione familiare: si trova a Conselice, provincia di Ravenna, proprio nelle zone periferiche del terremoto della scorsa primavera e sarà di circa 100 metri quadri. “Nel primo mese di lavoro è già stata finita per metà, grazie anche ai corsi di costruzione che stiamo svolgendo in loco”, aggiunge Pucci. La tempistica è ben delineata: fino a fine settembre, da mercoledì a domenica si svolgono momenti di autocostruzione aperti a tutti (costo 300 euro comprensivo di vitto e alloggio, per iscriversi recarsi sul sito di Edilpaglia, ndr) anche per imparare, poi da ottobre, chiunque sarà iscritto alla neonata associazione di volontariato creata ad hoc, potrà partecipare ai lavori, assieme naturalmente ai proprietari della casa, in prima fila nella realizzazione. 


Risparmio e qualità garantiti 

“Tra l’uso di paglia e terra cruda nella muratura esterna (non in quella portante, che deve essere almeno di legno, secondo la legge, ndr), la manodopera risparmiata, di certo il prezzo scende, siamo tra i 1200-1300 euro al metro quadro, per una casa che può essere di classe A”, indica la presidente di Edilpaglia, di professione ingegnere. La tecnica usata per la casa del ravennate è quella Greb, molto usata in Canada e la più adattabile all’autocostruzione, ovvero all’equilibrio tra il fatto che chi costruisce spesso non è un esperto del mestiere e la necessità di avere una casa propriamente detta. 


Sempre più interesse 

Sia attorno al tema dell’autocostruzione sia alle case in paglia l’interesse è in forte crescita: “giovani coppie, gruppi di famiglie che vogliono andare a vivere assieme, eco villaggi sono tra quelli che più ci contattano”, riporta la presidente di Edilpaglia, che si dice “piacevolmente sorpresa di trovare tante porte aperte anche nei Comuni delle varie parti d’Italia dove presentiamo i progetti: sono quasi sempre molto interessati, e disposti a ridurre i tempi della burocrazia”. 


 [ Fonte: Edilpaglia - Articolo tratto da www.vita.it e scritto da Daniele Biella ]

giovedì 26 luglio 2012

venerdì 20 luglio 2012

Anche il restauro diventa Green

Ville venete, antichi palazzi nelle città, borghi medioevali sugli Appennini, trulli nel Tavoliere delle Puglie. 
Un patrimonio architettonico, storico e artistico che il mondo ci invidia e che potrà, presto, essere conservato con maggiore sostenibilità ambientale. 

È stato infatti presentato, giovedì scorso a Venezia, alla presenza dei rappresentanti di organizzazioni internazionali come l’Unesco e il World Green Building Council, il progetto di stesura del protocollo “LEED® forHistorical building”, primo esempio di sistema di certificazione per la ristrutturazione e il monitoraggio di edifici storici a livello mondiale

L’anteprima di quello che si potrebbe già chiamare “restauro green” è stata organizzata dal Green Building Council Italia (GBC Italia), associazione no profit nata da una costola dell’omonima organizzazione americana con l’obiettivo di favorire e accelerare la diffusione dell’edilizia sostenibile nel nostro Paese. 
Il Bel Paese, con le sue eccellenze storico-architettoniche universalmente conosciute e l’ampio bagaglio di esperienza nel restauro, farà quindi da incubatore e promotore del sistema di certificazione indipendente Leed® (Leadership in Energy and Environmental Design) per laprima volta applicabile alla conservazione, restauro e rifunzionalizzazione di edifici storici e con particolare valenza storica e architettonica. 
Una novità perché il sistema Leed, che stabilisce precisi criteri di progettazione e realizzazione di edifici salubri, energeticamente efficienti e a impatto ambientale contenuto, finora è stato introdotto solo nel sistema residenziale. 

Al lavoro ci sono già un Comitato standard e uno tecnico scientifico per un totale di 300 volontari che operano per elaborare le linee guida del protocollo – che verranno presentate a inizio del prossimo inverno a San Francisco – e per garantire trasparenza nei processi di analisi e stesura. Dei due gruppi di lavoro fanno parte esperti, tra cui il Dipartimento di Architettura di Ferrara, soggetti istituzionali, progettisti, imprese e proprietari immobiliari. Le linee di indirizzo di partenza fanno dialogare insieme due differenti culture, quella della conservazione e valorizzazione del patrimonioedilizio storico-architettonico tipicamente italiana, e quella della sostenibilità edilizia tipica del mondo anglosassone. 

Un insieme di strumenti tecnici e procedurali che possono contribuire allo sviluppo di regolamenti tecnici, codici di buona pratica e pratiche progettuali condivise in cui l’Italia giocherà un ruolo da protagonista nel contesto internazionale. Non avendo un riferimento in alcuno dei sistemi di rating sviluppati attualmente, GBC Italia sta analizzando “casi studio” sperimentali, interventi in progetto o in fase di cantiere su cui verificare la corrispondenza con il protocollo in via di elaborazione. 

Progettisti o enti che si apprestano a restaurare edifici storici possono dunque aderire a questa fase, collaborando attraverso i propri progetti e facendoli analizzare. 
 «Edifici e città storiche italiane sono già in un certo senso “Leed” , basti pensare al sistema di canalette per la raccolta di acqua piovana sotto l’Arena di Verona, costruita 2000 anni fa, o le cisterne perl’acqua dolce sotto i palazzi veneziani – commenta Mario Zoccatelli, presidente GBC Italia – Il problema è che ci siamo dimenticati di come si costruiva. 
Con l’avvio di questo progetto di identificazione di un protocollo specifico per gli edifici storici faremo un’operazione che mette insieme il sistema di certificazione Leed, l’esperienza italiana nel restauro e conservazione dei beni culturali, la cultura Unesco, che predica il rispetto della tradizione storica e delle comunità locali. È una questione sia culturale, sia tecnica, sia di business perché la crescita, di cui si parla tanto, in questo settore può avere un grande sbocco». 
Uno sbocco quasi obbligato, si potrebbe aggiungere, visto che la crescita del fabbisogno energetico, la scarsità di risorse tradizionali, la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e, non ultimo, il consumo di territorio – basti pensare all’eccessiva cementificazione avvenuta nel nostro paese, con moltissimi edifici residenziali invenduti (specialmente in questo periodo) – impongono di ripensare al tema della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. 

A spiegare il contesto in cui si inserisce il nuovo protocollo “for Historic Buildings” in Italia è la giovane Paola Boarin, del Dipartimento di Architettura di Ferrara e coordinatrice del Comitato Standard. «Circa un terzo degli edifici esistenti nella nostra penisola – racconta - è costruito prima del 1945 e, a differenza di quanto edificato dopo, che fu di scarsa qualità, garantivano un benessere bioclimatico per chi vi abitava». 
Il comfort era dato da sistemi di mediazione bioclimatica, muri spessi, giardini interni nei cortili, controsoffitti in legno decorati che avevano una funzione di isolamento termico, sistemi di raccolta dell’acqua meteorica. I materiali erano reperiti in loco e si integravano con l’ambiente circostante, basti pensare alle case in pietra dei paesini collinari o al legno in quelle di montagna. 

Tutti elementi assolutamente sostenibili già insiti in molti edifici antichi da valorizzare, tenendo conto – cosa fondamentale – del contesto in cui il fabbricato è inserito.
«Il protocollo – continua l’architetto – valuterà se i progetti di restauro su edifici storici andranno nella direzione di mantenere queste caratteristiche di sostenibilità, anche perché, in caso contrario, l’edificio stesso non risponderà più correttamente alle sollecitazioni ambientali. Il fine del restauro secondo questo criterio non è arrivare a una casa passiva o in classe energetica A, ma a una sostenibilità storica, culturale, energetica nell’ambito di un intervento di conservazione». 

Un criterio di restauro che non esclude tecniche innovative o antisismiche. La sede del Dipartimento di Architettura di Ferrara, un palazzo cinquecentesco restaurato nel 2009 e consolidato sismicamente, ad esempio ha retto al terremoto che ha colpito il mese scorso l’Emilia Romagna. 
E ora i ricercatori sono impegnati, insieme alla Soprintendenza di Ferrara, nel dibattito su come ricostruire gli edifici storici crollati, come il Duomo di Mirandola, uno dei simboli della nostra storia decapitati dal sisma.

[ Fonte: www.greenews.info - Articolo di Alessandra Sgarbossa ]

venerdì 13 luglio 2012

Tetti vegetali nelle Isole Faer

Tra il Mare di Norvegia ed il nord dell'oceano Atlantico c'è Klaksvík, seconda città delle Isole Fær, una cittadina di 4.889 abitanti, circondata da scogliere e paesaggi incontaminati. 

Data l'esigenza di riqualificare il centro cittadino, il Comune di Klaksvík ha indetto un concorso di progettazione; a vincerlo lo studio di architettura Group8, al quale è stato affidato l'incarico di riprogettare in maniera creativa ed efficiente un'area centrale di 150,000 metri, in grado di collegare le parti Est ed Ovest della città e dando vita a uno spazio vivibile e identificativo. 


SPAZI PROTETTI DALLE INTEMPERIE. 

L'idea di Group8 è stata quella di creare un lungomare completamente pedonale e chiuso al traffico, in grado di incoraggiare l'interazione umana e la vita all'aria aperta. 
Per affrontare i rigidi e lunghi mesi invernali, il nuovo centro cittadino offre una serie di aree protette e facilities (piazze, terrazze, passeggiate), più un percorso di porticati coperti, al fine di consentire il flusso pedonale anche in condizioni climatiche avverse. 
“Una città sostenibile è una città che funziona nonostante le condizioni atmosferiche”, spiegano gli architetti di Group8. 


TETTI VEGETALI SECONDO TRADIZIONE SCANDINAVA

Altro aspetto importante considerato nella riprogettazione del centro riguarda l'efficienza dei nuovi edifici, in particolare dal punto di vista dell'isolamento termico, un aspetto essenziale a queste latitudini. 
Le nuove case del centro sono state riqualificate, a partire da un tetto vegetale verde, tipico di queste zone e garanzia di alto comfort termico all'interno, mentre per rispondere alle esigenze domestiche è stato pensato un sistema solare termico per abitazione. 
In questo modo, oltre ad assicurare una buona coibentazione, si mantiene un'estetica tradizionale e riconoscibile per la cittadina di Klaksvik.

[ Fonte: www.casaeclima.com ]

venerdì 6 luglio 2012

La casa nella roccia

Il tema dell’abitare la terra non potrebbe avere esiti più chiari di questo: un’abitazione realizzata nell’incavo formato da quattro grandi massi a Fafe, sulle alture del Portogallo Settentrionale, nei pressi del parco eolico nel Terras Highlands Fafe.

Realizzata a partire dal 1972 da un ingegnere rimasto affascinato dalla zona, è stata sempre utilizzata come casa di vacanza dalla sua famiglia. Le quattro sporgenze rocciose formano le pareti dell’abitazione completata con semplici pareti in pietra. 

L’interno è rustico ed essenziale, con arredi in legno: entrando ci si trova in un piccolo spazio di ingresso, un salottino e una cucina; tramite una scala in legno si accede al soppalco dove è organizzata la zona notte. 

L’apparenza di abitazione primitiva ha dato a questa struttura il soprannome di “casa dei Flinstone”: in realtà gli ambienti sono confortevoli e, seppur caratterizzati da locali di dimensioni ridotte, offrono tutte le comodità necessarie in una casa di campagna e un panorama molto suggestivo in le colline sono modellate dalle turbine eoliche. Ad eccezione delle aperture in vetro e del tetto in tegole, tutta l’abitazione utilizza pietra locale; la si trova nei tamponamenti dei 4 massicci blocchi principali che fungono da struttura portante ma anche negli arredi interni per cui viene utilizzato anche legno in assi e tronchi. 

La sensazione di trovarsi di fronte ad un edificio preistorico è certamente sottolineata dall’abilità del fotografo portoghese Guimarães Feliciano, l’autore di tutte le fotografie ufficiali reperibili in rete, che ha enfatizzato l’isolamento dell’abitazione rispetto ad altri edifici; in realtà nelle vicinanze si trova il villaggio di Pereira.

venerdì 29 giugno 2012

Riqualificazione architettonica USA

Completato da meno di un anno – a fine 2011 – Eco Modern Flats rappresenta un esempio di riqualificazione architettonica operata nel segno della sostenibilità e dell'inclusione sociale. 


RECUPERO DI 96 APPARTAMENTI

Premiato con il primo marchio LEED Platinum per la categoria “Case Multifamiliari” assegnato nello stato dell'Arkansas, l'intervento ha visto il recupero di un complesso residenziale costituito da quattro blocchi, contenenti un totale di 96 unità abitative. Costruiti tra il 1968 e il 1972, i quattro edifici si presentavano come grandi elementi prefabbricati in calcestruzzo, carenti di manutenzione, comfort termico e sistemi per la qualità dell'aria. 


CONNESSIONE CON L'ESTERNO

I progettisti del Modus Studio sono partiti da un recupero sistematico degli interni – che versavano in condizione di semi degrado – con una pulizia a fondo degli stessi e la ricostruzione degli spazi abitativi secondo un modello più flessibile, pur mantenendo i controsoffitti e i pavimenti in cemento. Tinteggiati di bianco, gli appartamenti sono stati concepiti come spazi flessibili e aperti, in cui prevalgono ampie finestrature e un collegamento con l'esterno. Ciascuna unità, infatti, dispone di un cortiletto privato e di una veranda esterna. 


INTERAZIONE

Altro aspetto altamente considerato in fase di progettazione è stato quello dell'inclusione sociale: grande importanza nell'intervento ha avuto il recupero degli spazi comuni all'aperto, a partire dalla creazione di cortili e frequenti punti di incontro, attrezzati con sedie, sdraio e tavolini, per favorire l'interazione e la vita all'aria aperta, possibile anche in virtù del clima locale, generalmente molto mite. Outdoor anche la grande piscina, vero cuore del complesso residenziale, posizionata al centro dei quattro blocchi. 


RACCOLTA DELL'ACQUA PIOVANA E SOLARE TERMICO

A garantire al progetto l'ottenimento del LEED PLATINUM anche una serie di accorgimenti aggiuntivi, a partire dalla selezione dei materiali biodegradabili da costruzione, la creazione di stazioni di riciclaggio lungo il perimetro del complesso, le cisterne di raccolta dell'acqua piovana e l'installazione di un sistema solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria e il riscaldamento a bassa temperatura.

[ Fonte: www.casaeclima.com ]

venerdì 22 giugno 2012

Transition Towns: le citta' di transizione



Transition Towns è un movimento culturale che nasce tra il 2005 e il 2006 nel Kinsale (Irlanda) e Totnes (Inghilterra) da un idea dell’ambientalista Rob Hopkins. 
L'obiettivo del progetto è quello di preparare le comunità per la duplice sfida: il cambiamento climatico e il picco del petrolio
Aumentare la consapevolezza del vivere sostenibile e costruire la resistenza locale per il prossimo futuro sono gli obiettivi principali del progetto. In quanto una vita senza petrolio potrebbe essere più piacevole e appagante di quella attuale. 

L’idea delle città di transizione nasce per caso da un esercitazione scolastica proposta da Rob Hopkins ai suoi studenti quando insegnava al Kinsale Further Education College – Irlanda. Durante il corso viene elaborato il “Kinsale Energy Descent Plan”, un progetto che illustrava alcune azioni creative applicabili ai settori della produzione di energia, della salute, dell’istruzione, dell’economia e dell’agricoltura per un futuro sostenibile della città riorganizzata secondo un modello a basso consumo di risorse. Questo piano strategico fu poi adattato alla realtà locale della città di Kinsale con l’obiettivo ultimo di raggiungere l’indipendenza energetica. 

Ogni realtà decide il proprio percorso e piano di azione mantenendo i medesimi obiettivi. Le comunità sono incoraggiate a ricercare metodi per ridurre il consumo di energia e la loro dipendenza dall’uso della propria auto. 
Il progetto ruota intorno a due concetti fondamentali
In primis ci si domanda perché non utilizzare la creatività e il patrimonio intellettuale e di adattamento - che l’umanità ha messo in gioco nel corso della storia per raggiungere lo stato di sviluppo attuale grazie all’utilizzo delle fonti di energia fossili - per intraprendere un percorso che permetta di vivere meglio senza sprecare le risorse naturali. In secondo luogo, la consapevolezza che l’azione tempestiva e soprattutto collettiva ha una più alta percentuale di riuscita di raggiungimento degli obiettivi. 

Il numero delle comunità coinvolte nel progetto è in continuo aumento. 
E’ possibile consultare la mappa aggiornata sulle realtà locali coinvolte nel mondo. In Italia diverse città e comunità hanno già intrapreso o stanno per diventare citta’ di transizione. È possibile consultare l’elenco italiano.

venerdì 15 giugno 2012

RiutilizziAMO l’Italia




Riconvertiamo ed amiamo il nostro Paese: è il senso della campagna RiutilizziAMO l’Italia lanciata dal WWF in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, ed alla vigilia della Conferenza Mondiale sullo sviluppo Sostenibile “Rio+20”, che si terrà dal 20 al 22 giugno 2012. 

Come partecipare?
E’ semplice: segnalando on line aree dismesse o abbandonate del nostro Paese, localizzandole e descrivendole brevemente, e fornendo indicazioni e proposte sul possibile uso futuro delle aree degradate

L’iniziativa, con un approccio fortemente identitario e comunitario, intende stimolare la partecipazione delle popolazioni locali, e l’innesco di un vero e proprio movimento culturale e sociale che tramite l’orientamento bottom-up possa garantire un impegno concreto ed effettivo da parte dei cittadini coinvolti. 

Il consumo di suolo è un problema rilevante cui molte nazioni, tra cui l’Italia, sono chiamate a porre rimedio in tempi brevi per evitare l’insorgenza di problemi più gravi, come rilevato dal dossier "Terra Rubata –Viaggio nell'Italia che scompare" (2012), redatto da FAI e WWF, in cui si evidenzia come mediamente l’Italia ha avuto, negli ultimi 50anni, un consumo di suolo che si aggira intorno ai 33 ettari al giorno, che diverranno 75 per i prossimi 20anni

Pertanto il WWF intende così favorire un recupero dell’identità del paesaggio, della qualità dell’ambiente e del benessere sociale che stanno divenendo sempre più rari nei nostri ambienti di vita. 

Si tratta di un atto fondamentale che potrebbe comportare un nuovo stabile equilibrio tra le popolazioni e le risorse locali, in modo da poter determinare un reale incremento delle condizioni economiche del nostro Paese, grazie al riuso, al recupero, al restauro del patrimonio ambientale, immobiliare e culturale che distingue la nostra italianità. 

Hai già idea di qualche area da proporre? clicca qui

 "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo!" (Gandhi)


venerdì 8 giugno 2012

Dalla steppa russa una comunita' autosufficiente

Durante i freddi mesi invernali la struttura agisce come una comunità autosufficiente.

A Skolkovo, a pochi chilometri di distanza da Mosca, sorge la Moscow School of Management, importante centro di formazione universitaria fondato nel 2006 da un gruppo di uomini d'affari russi e internazionali. 

Immerso in una steppa che d'inverno si copre di neve, il campus universitario è stato progettato dallo studio di architettura Adjaye Associates proprio in funzione di una stagione invernale che da queste parti dura più di sei mesi, con temperature ben sotto lo zero, tanto da costringere gli abitanti a passare la stragrande maggioranza del tempo al chiuso.

AGIRE COME UNA COMUNITA' INDIPENDENTE.
Per rispondere a queste esigenze dipendenti dal clima, la struttura – che offre alloggio ai propri studenti – è organizzata per poter agire come una comunità indipendente, in cui tutti gli spazi sono posti in collegamento tra loro, senza bisogno di dover uscire all'esterno.

UNA BASE A DISCO.
All'interno, su una superficie totale di 42,891 metri quadrati, sono dislocati i vari servizi a disposizione degli studenti, dalle aule alle sale relax, dal ristorante-caffetteria a un auditorium di oltre 600 posti. La struttura si distingue per la forma innovativa: il blocco centrale è costituito da un grande disco in cemento rialzato che accoglie gli spazi ricreativi e di lavoro, mentre gli ingressi e il parcheggio sono posizionati immediatamente sotto, al livello del suolo.

4 VOLUMI PER ALLOGGI E SERVIZI SPORTIVI.
Da questa prima base a disco si diramano quattro volumi squadrati di varie dimensioni, completamente rivestiti da pannelli in alluminio colorati in stile mosaico di colorati. All'interno, i blocchi contengono principalmente le unità abitative a disposizione degli studenti - 123 alloggi-, cui aggiungere le 126 camere riservate, invece, ai visitatori. Solo uno dei quattro volumi, riconoscibile dall'esterno per il rivestimento in alluminio dorato, si distingue per funzione: al suo interno, infatti, ospita le varie strutture sportive, dalla palestra al centro fitness.

UN PROGETTO DA BIENNALE.
Ispirato alle forme razionaliste e squadrate tipiche dell'architettura sovietica, come spiegano i progettisti di Adjaye Associates, che questo progetto l'hanno presentato alla Biennale di Venezia (undicesima edizione), il campus presenta degli interni progettati nel nome della funzionalità e dell'accoglienza, con una generale preferenza per le ampie vetrate aperte sulla steppa circostante e tinte colorate per l'arredo e le pareti.

 [ Fonte: www.casaeclima.com ]

venerdì 1 giugno 2012

Eco abitazione deve voler dire anche "sicurezza"

Pubblichiamo le indicazioni del piano comunale della Protezione Civile della provincia di Bologna sul comportamento da assumere dopo una scossa tellurica, certi di poter essere utili in qualche modo anche noi di EcoAbitazione, in un momento così grave.

DURANTE LA SCOSSA
Aspettarsi scosse secondarie di assestamento. È molto probabile che la scossa principale sia seguita da repliche, di intensità inferiore, ma tuttavia ancora in grado di provocare danni.
- Ripararsi comunque nel vano di una porta, inserita in un muro portante o sotto una trave, oppure sotto un tavolo - Non muoversi fino a quando la scossa non è terminata
- Non cercare assolutamente di uscire durante la scossa: talvolta le scale sono una delle parti più deboli e quindi pericolose della casa
- Non usare l'ascensore
- Se si viene sorpresi dalla scossa all'interno di un ascensore, fermarsi al primo piano possibile e uscire immediatamente.


In un luogo pubblico

- Rimanere nel luogo ed allontanarsi solo da oggetti sospesi che possono cadere
- Non cercare di raggiungere l'uscita, in considerazione che anche altre persone avranno la medesima idea e quindi, in caso di affollamento, l'uscita sarebbe impossibile ed anzi si potrebbero provocare ulteriori danni alle persone.


All'aperto

- Stare lontano dalle pareti delle case
- Portarsi in luoghi aperti, lontano dalle costruzioni, da alberi, muri, linee elettriche
- Se ci si trova su un marciapiede, cercare riparo sotto un portone
- Se ci si trova su un veicolo, non fermarsi nei sottopassaggi, in prossimità di ponti, di terreni franosi
- Fermare il veicolo in un luogo aperto lontano da alberi, muri e linee elettriche
- Aspettare in auto che la scossa finisca
- Collaborare a mantenere le strade sgombre per il passaggio dei vicoli d'emergenza.

 DOPO LA SCOSSA
- Usare una radio a batterie per avere eventuali informazioni
- Verificare che non vi siano feriti
- Verificare che non vi siano fughe di gas o rotture dell'impianto idrico
- Non accendere la luce, usare una lampada a batterie
- Nel caso si abbandoni la casa, chiudere gli erogatori di gas, acqua, energia elettrica
- Non cercare di raggiungere l'area colpita ed evitare di muoversi per curiosità
- Raggiungere le aree di raccolta predisposte ed indicate nel Piano Comunale di Protezione Civile
- Verificare che la costruzione si abita non abbia subito danni: se si sono avute lesioni, richiedere il parere di un tecnico e nel dubbio abbandonare la casa
- Non usare il telefono, se non per reali esigenze di soccorso
- Non usare autoveicoli per lasciare le strade libere per i soccorsi
- Non avvicinarsi ad animali in quanto spaventati e imprevedibili, e se possibile, rinchiuderli in luoghi sicuri
- Raggiungere con calma la scuola per prelevare i bambini, senza fretta, in quanto la scuola è un edificio strategico
- Collaborare a mantenere le strade sgombre per il passaggio dei vicoli d'emergenza.

In fabbrica, in officina, in ufficio:
- Spegnere i motori e togliere l'energia
- Chiudere tutti gli impianti, le apparecchiature e tutte le alimentazioni.

A scuola:
- Mantenere la calma
- Ricordare sempre che la scuola ha un piano di emergenza
- Seguire le istruzioni dell'insegnante
- Se viene deciso di uscire: - percorrere in ordine e senza correre il percorso di esodo assegnato
- Raggiungere il punto di raccolta esterno.


[ Fonte: www.casaeclima.com ]

venerdì 25 maggio 2012

Gli edifici riciclabili

Mentre in passato le case erano costruite in pietra, laterizio e legno e i materiali recuperati dalle demolizioni venivano ampiamente riutilizzati nella costruzione di nuovi edifici, il recupero e il riuso di molti materiali moderni crea dei problemi. 


Basti pensare ad un pavimento sintetico incollato su sottofondo che non è recuperabile e deve quindi essere interamente distrutto. Lo stesso valga per elementi composti da strati di diversi materiali incollati insieme, che pongono il problema della separazione prima del riciclo. La stessa demolizione del cemento armato richiede un grande dispendio di energia. 

Si dovrebbero pertanto costruire edifici scomponibili con elementi e materiali che possano essere facilmente recuperati, riutilizzati, riciclati e smaltiti senza provocare ulteriori inquinamenti. 

Da alcuni anni si parla di riciclaggio integrale o globale, concetto che si basa sull’idea che tutta la materia che utilizziamo l’abbiamo presa in prestito dalla natura per un determinato periodo, per poi restituirla integralmente, alla fine del suo impiego. 
Progettare edifici scomponibili e adattabili a nuovi usi, impiegare materiali riutilizzabili e riciclabili è un valido criterio necessario se si considera l’immensa massa che chiamiamo rifiuti. 


LA CATTEDRALE DI CARTONE DI SHIGERU BAN

Tutti noi da piccoli ci siamo divertiti a prendere fogli di carta o cartoncini e sagomarli in maniera tale da far si che si reggessero in piedi divenendo tetti per le bambole e missili da lanciare in aria. Inconsciamente tutti abbiamo anticipato l’intuizione messa a punto da Shigeru Ban, il quale ripropone in maniera innovativa la cattedrale vittoriana di Christchurch, crollata a seguito del terremoto del febbraio 2011 che ha colpito la Nuova Zelanda. 

 Innovativa perché è concepita interamente in cartone pressato, materiale ecocompatibile riciclato e riciclabile al tempo stesso e perfettamente rispondente alla scarsa possibilità economica a disposizione e all’idea di edifici riciclabili. L’impiego di un materiale così insolito (già effettuato da Shigeru Ban a Kobe in Giappone nel 1995 per la Paper Church), non porrà limiti alla realizzazione e fruizione del nuovo edificio infatti potrà ospitare fino a 700 persone e si svilupperà per ben 24 metri di altezza. 
Con questa idea innovativa di progetto si apre una nuova era per la progettazione architettonica, che potrebbe avere risonanza mondiale specialmente in vista della così ambita sostenibilità degli edifici, ma soprattutto in tema di riciclo di materiali che possono essere reimpiegati in forme nuove e in scopi diversi per i quali erano stati concepiti. 
 Quella di Shigeru Ban è una grossa sfida, una forma sperimentale di architettura che si fa spazio nell’ambito delle nuove tecnologie; tentare di imitarlo non è cosa facile, ma realizzare nel nostro piccolo edifici o abitazioni con materiali la cui vita non sia destinata a finire ma a durare per sempre seppure in forme e impieghi diversi, deve essere obiettivo di chi progetta con coscienza, consapevole dei rischi a cui va incontro il sistema quotidianamente minacciato da smaltimenti complessi e tonnellate di rifiuti. 
Occorre pertanto prendere in considerazione l’aspetto del riuso e del riciclaggio dei materiali già al momento della progettazione di un edificio ex novo e, nel caso di demolizioni, elaborare un concetto di recupero che garantisca e faciliti il riuso e il riciclaggio di vari elementi.

venerdì 18 maggio 2012

Le torri che ruotano con il sole

Questo progetto, nato dagli architetti Agung Mahaputra, Andika Priya Utama, Arief Aditya Putra, Dely Hamzah, Nidia Safiana e Rahadi Utomo, nasce come rifacimento dell’Agung Sedayu Center di Jakarta in Indonesia, ma sarà ambientato nella foresta di mangrovie della medesima città, da cui prenderà il nome, The Mangrove, ispirato a questi alberi caratterizzati dal groviglio di radici intrecciate tra loro. 



La struttura formata da due torri asimmetriche collegate da un corridoio, non intaccherà l’ambiente naturale, ma diverrà parte integrante di questo, offrendo una vista fantastica proprio sulla foresta. Tutta la struttura è progettata in funzione dell’irraggiamento solare. 

Le torri saranno in grado di ruotare attorno a se stesse, non solo per avere la miglior vista a seconda del momento della giornata, ma anche in base all’esposizione solare, in modo da catturare la luce e ridurre il consumo di energia elettrica. Il corridoio di collegamento, pur essendo esposto al sole, non avrà bisogno di condizionamento artificiale, poiché avrà la funzione di barriera tra l’irraggiamento solare e gli spazi di lavoro e pertanto sarà particolarmente ventilato. 

La particolare struttura esterna che richiama le radici di mangrovie, avrà in realtà la funzione di frangisole per gli spazi interni, tanto che può essere regolata a seconda dei raggi solari o in base alle stagioni: anche la stessa forma asimmetrica delle due torri è stata progettata per avere la funzione di ombreggiare gli ambienti all’interno. 

Gli spazi interni verranno prevalentemente destinati a uffici, mentre il piano terra sarà utilizzato per parcheggi e punti di ristoro e il tetto verde sarà una grande terrazza con altri spazi dedicati alla ristorazione, da cui si potrà ammirare tutto il panorama: un ponte dinamico fino al “livello podio” riservato solo a ciclisti e pedoni, consentirà loro di avere una vista fino al mare. 

venerdì 11 maggio 2012

Fattoria urbana made in China


A metà strada tra un orto e un condominio, Agro-Housing è il prototipo di fattoria urbana proposto dallo studio Knafo Klimor Architects per Wuhan, una delle più popolose città della Cina centrale.


PER CITTA' SEMPRE PIU' DENSAMENTE ABITATE. 
Vincitore del concorso Sustainable Housing, il progetto nasce in risposta alla sempre crescente popolazione urbana, un fenomeno estremamente attuale in Cina, dove nei prossimi anni si prevede un vero e proprio esodo degli abitanti dalle campagne ai centri urbani. 10.000 metri quadrati divisi tra alloggi (150) e serre riservate alle colture, Agro-Housing vuole essere un modello di vita sostenibile e autosufficiente nel pieno centro cittadino. 

10 MQ DI ORTO PER APPARTAMENTO. 
Ai residenti viene offerta la possibilità di coltivare la propria porzione di orto a seconda delle proprie preferenze; le serre – organizzate in altezza su più piani, nel corpo centrale dell'edificio – sono assegnate in modo che ad ogni unità abitativa corrisponde un'area coltivabile di circa dieci metri quadrati. La vegetazione verrà mantenuta in salute grazie a un sistema di irrigazione a goccia, basato sul riutilizzo delle acque grigie raccolte dai vari appartamenti e dalle acque meteoriche, convogliate tramite un apposito bacino. 

CONDOMINIO EFFICIENTE. 
Oltre alla scelta dei materiali riciclabili e allo spazio per gli orti verticali, Agro-Housing è stato progettato anche per ridurre i consumi e prevede un'installazione a pannelli solari sul tetto, un sistema di ventilazione naturale e un sistema geotermico per il riscaldamento. L'idea, spiegano gli architetti, è quella di sensibilizzare i residenti a un modello di vita più consapevole e attento. L'architettura di Agro-Housing spinge anche a socializzare, grazie alla creazione di spazi e servizi comuni, a partire da un tetto-giardino e un kindergarten privato. 

 I PROSSIMI PASSI. 
Terminata la fase progettuale, ora Agro-Housing aspetta di vedere la luce nel centro di Wuahn, con una previsione di completamento entro il 2015. In caso di successo, il modello potrebbe presto venire replicato in tutta la città, creando veri e propri vicinati verdi. 

[ Fonte: www.casaeclima.com ]

venerdì 4 maggio 2012

Energia termica dalle fogne

Risparmiare energia, riscaldare e raffreddare gli edifici sfruttando la rete fognaria della città. 

Questo l'obiettivo del progetto pilota lanciato nella parte sud-est di Philadelphia. 

GEOTERMIA DAI REFLUI.
Il processo si basa sull'impiego del calore costantemente assicurato dalle acque reflue, che viene “condensato” e reso utilizzabile. A guidare il progetto è il gruppo Nova Thermal Energy LLC, che dopo l'esperienza di Philadelphia conta di mettere in commercio la tecnologia brevettata, proponendola come soluzione ad alta efficienza per tutti quegli edifici collocati lungo un tratto importante del tronco fognario. 

PIU' EFFICIENTE DELLA GEOTERMIA.
“Durante i mesi invernali le acque reflue hanno una temperatura di circa 60 gradi, che diventano 75 e oltre in estate”, precisa Elinor Haider, a capo del progetto. “Si tratta di una quantità di energia notevole, estraibile attraverso una pompa di calore convenzionale, in maniera più efficiente e conveniente rispetto ai tradizionali sistemi geotermici, in cui cui si richiede la creazione di pozzi in profondità per catturare il calore della terra”. Inoltre, puntualizza Jimmy W. Wang, ingegnere capo del NovaThermal, "le acque reflue traggono calore da un certo numero di fonti, tra cui lavastoviglie, docce e processi industriali". 

RIDURRE I COSTI ENERGETICI
Finanziato da una sovvenzione federale di 150mila dollari, l'intervento dovrebbe presto ripagare gli investimenti, riducendo i costi energetici di oltre il 40%. Certo, dichiara Haider, non mancano gli scettici e gli schizzinosi, “ma si tratta di un sistema testato e sicuro”. 

 ESEMPI DA CINA E EUROPA. 
Lo sanno bene in Cina, dove sono numerosi gli edifici di grandi dimensioni che utilizzano questa tecnologia per alimentare il sistema di riscaldamento e raffrescamento. Ma gli esempi non mancano anche in Europa: gli oltre 2.400 chilometri di condotti fognari di Parigi, infatti, sono attualmente al centro di un progetto di "geotermia dei reflui". Il calore viene infatti sfruttato per scaldare due edifici scolastici, ma si parla di includere presto anche l'Eliseo. E a quanti polemizzano contro gli aspetti anti-estetici e le tubazioni a vista, la società svizzera Rabtherm Energy Systems AG risponde con un progetto che prevede tubazioni inserite all’interno di reti fognarie in calcestruzzo. Per sfruttare il calore racchiuso nei liquami con discrezione. 

 [ Fonte: www.casaeclima.com ]